venerdì 26 novembre 2010

1 Dicembre: Giornata Mondiale contro l'AIDS


L'argomento di questa nota non è uno dei soliti sui quali, cari amici, cerco sempre di portare la vostra attenzione.
Eppure è un argomento che, come donatore di sangue, come educatore (quindi anche INFORMATORE) e, in primo luogo, come essere umano, nondimeno mi sta a cuore.
Credo, e scrivendo questo la vostra intelligenza perdonerà la mia supponenza, che dovrebbe stare a cuore anche a ciascuno di voi.
Vorrei, con questa nota, che ne parlassimo tra amici. E cercherò di raccontarvi come la penso in modo, spero, semplice. Come farei se ne dovessi parlare ad una classe dell'ultimo anno del liceo.

Sono nato nell'ottobre del 1981.
In quello stesso anno una rara aggressiva forma di polmonite colpì cinque cittadini americani, giovani maschi omosessuali.
I cinque ragazzi di San Francisco avevano in comune qualcos'altro: qualche mese dopo nel loro sangue fu isolato un nuovo agente virale, in seguito ritenuto eziologicamente importante per la loro patologia, la quale, a sua volta, sarebbe stata poi considerata una delle espressioni sintomatiche di una sindrome ben più devastante.

Nel 1983 i virologi Robert Gallo e Luc Montagnier chiamarono il nuovo virus “HIV”, Human Immunodeficiency Virus.
Viene da sé che io non ho conosciuto, come molti di voi, un mondo senza AIDS, Acquired ImmunoDeficiency Syndrome.

A quasi trent'anni dalla scoperta del virus la comunità scientifica non ha ancora messo a punto un vaccino preventivo o terapeutico in grado di debellare la malattia dal pianeta.
Dal 1981 ad oggi sono morte nel mondo oltre venti milioni di persone a causa delle patologie che definiscono lo stato di sindrome da immunodeficienza acquisita o a causa di patologie comunque HIV-correlate; circa quaranta milioni sono le persone che oggi convivono con il virus, quasi duecentomila nel nostro Paese.
In Italia vengono diagnosticati circa quattromila nuovi casi di infezione all'anno: ogni due ore una persona viene a contatto con il virus.

Perché, quindi, si parla molto meno di AIDS rispetto a quanto si parli di cancro, di epatiti, di distrofia muscolare, di malattie autoimmuni, di anoressia, di bulimia, di depressione?
Perché il fragoroso rumore della sua “mediaticità” non riecheggia più dagli spot televisivi degli anni Ottanta?

Personalmente ritengo che ci siano dietro ragioni psicologiche, culturali ed economico-sociali.

HIV è presente nel sangue, nello sperma, nelle secrezioni vaginali, nel liquido prostatico, nel latte materno. E' presente, seppur in piccola quantità, anche nella saliva, nel sudore, nell'urina, nelle feci.
Ma il sangue è la nostra linfa vitale, le secrezioni sessuali generano nuove vite e sono l'espressione più diretta del nostro piacere, il latte materno è la nostra prima e più naturale fonte di nutrimento.
HIV è un virus scomodo anche da nominare proprio perché è penetrato tra gli esseri umani, senza chiedere permesso, attraverso le porte di accesso principali della nostra intimità, e ci ha costretti a cambiare il nostro modo di vivere aspetti fondamentali della nostra esistenza.
Senza concederci sconti.
E l'AIDS, definita inizialmente dai non addetti ai lavori, proprio per la storia che ha accompagnato la scoperta stessa di HIV, "malattia dei gay" e, successivamente, "malattia dei gay e dei tossicodipendenti", è diventata malattia di TUTTI NOI.
Perché si impiegò, com'era ovvio, pochissimo tempo a capire che HIV, al contrario degli esseri umani, non aveva alcun pregiudizio riguardo gli stili di vita e gli orientamenti sessuali. D'altronde come si sarebbe potuta scientificamente giustificare l'esistenza di un virus che discriminasse in base a mere inclinazioni personali?

Mi è sempre piaciuto definirlo “il virus vigliacco”, poiché approfitta proprio delle nostre più naturali debolezze.
Si insinua tre le giovani coppie, dove l'amore non lascia spazio alla ragione e non ci si pone, quindi, alcuna domanda sul proprio passato o su quello del partner.
Si insinua tra le coppie meno giovani, dove l'ipocrisia borghese eleva fragili esseri umani al falso status di mariti e mogli irreprensibili ed "insospettabili".
Si insinua molto spesso tra tutti coloro che, per qualsivoglia motivo, scelgono la strada della tossicodipendenza per via endovenosa come itinerario da percorrere per trovare la soluzione ad uno stato di difficoltà.

Alcune esperienze di volontariato, e non solo, dei miei anni più recenti hanno fatto in modo che mi confrontassi da vicino con queste realtà.

Ho imparato che molto è stato fatto dal punto di vista farmacologico per le persone HIV-positive, molto rimane ancora da fare. Soprattutto se la costosa terapia anti-retrovirale continuerà ad essere sponsorizzata dalle case farmaceutiche come unica alternativa ad un vaccino che, seppur ambizioso da realizzare a causa della estrema variabilità e capacità di adattamento del virus, rimane l'unica reale soluzione contro la pandemia africana.
HIV, lo abbiamo imparato, non discrimina. Ci pensa l'economia mondiale a decidere chi potrà continuare in qualche modo a vivere, nei Paesi ricchi, e chi sarà costretto inevitabilmente al decesso.

Rimane pertanto ancora TROPPO da fare nel campo dell'educazione alla prevenzione, soprattutto tra le nuove generazioni bombardate da campagne sanitarie, quando esistenti, del tutto vaghe ed inefficaci. Il facile slogan “usa il profilattico” non si è mai accompagnato, nel nostro Paese, ad una reale campagna sanitaria che spiegasse TECNICAMENTE ai giovani inesperti ed ai meno giovani riluttanti come utilizzare questo insostituibile mezzo di prevenzione.

Rimane TROPPO da fare nell'abbattimento della disinformazione riguardo le vie di contagio, che ha portato troppo spesso all'isolamento e alla discriminazione di chi con l'HIV lotta in prima persona ogni giorno della sua vita ed ha generato vere e proprie psicosi tra persone ancora convinte che il virus possa trasmettersi nella normale vita di relazione.

Rimangono TROPPO pochi i fondi destinati alla ricerca di un vaccino che ostacoli il progressivo aumento del bacino di infezione nei Paesi occidentali ed il tasso di mortalità nelle aree endemiche dell'Africa Subsahariana.

Vorrei soffermarmi un attimo sull'educazione alla prevenzione; è un tema delicatissimo e non ho la presunzione né di essere la persona più adatta a parlarne né di poter esaurire l'argomento con una semplice nota su un social network. Semplicemente ci provo. Tentar non nuoce.

Ritengo che alcuni punti dovrebbero essere analizzati meglio quando si parla di prevenzione a livello sessuale e cercherò di spiegarvi come la penso.

La Chiesa, che giustamente si è posta il problema dell'infezione, ha parlato di castità; si tratta di una soluzione scientificamente ineccepibile e corretta perché l'assenza di contatti intimi sicuramente impedisce la trasmissione del virus.
Però, da buon fisico, scendo a patti con la realtà, con la gente. Ed un dato sperimentale inequivocabile è che gli esseri umani hanno rapporti sessuali, i quali vengono da essi ritenuti una fonte di piacere prima che il modo naturale per garantire la prosecuzione della specie.
Più recentemente Benedetto XVI si è mostrato aperto all'utilizzo del profilattico qualora si eserciti la prostituzione. A mio modesto parere si tratta di un messaggio molto pericoloso, non basato su dati: si continua a ragionare per "categorie" e si dimentica che la moglie-madre devota, magari presente a tutte le celebrazioni ecclesiastiche domenicali e completamente ignara delle scappatelle del marito, è estremamente più a rischio della prostituta che correttamente utilizza il condom in ogni rapporto sessuale.

Monogamia in una relazione in cui si è certi della sieronegatività dei due partner?Soluzione di grande romanticismo ma scientificamente non corretta perché si basa su attestati di reciproca fiducia e su patti che non mettono in conto nessun tipo di debolezza umana.
Pertanto non consiglierei mai, soprattutto alle giovani generazioni sempre ansiose di sperimentare durante il processo di crescita, di non utilizzare il profilattico.
Neppure in una relazione stabile, duratura e “collaudata”.
Se la fidanzatina o il fidanzatino ci avesse tradito, anche solo una volta, e non avesse il coraggio di dircelo?Se fossimo noi ad avere un momento di debolezza e ci mancasse dopo il coraggio di confessarlo a chi dovremmo?

Cosa rimane da fare allora?Entrare in paranoia?Morire di paura?Far crescere la psicosi del contagio, del pregiudizio e della discriminazione?
No, assolutamente no.
Basta semplicemente abituarsi a considerare se stessi e ciascun partner, anche l'amore della propria vita, sempre come soggetti POTENZIALMENTE sieropositivi.

E quindi?Quindi la soluzione è già nella vostra testa!Sapete già dove voglio portarvi!

Infatti concludo con aria da professorino, e sono certo che continuerete a perdonarmi vista la delicatezza dell'argomento, ricordandovi e ricordando a me stesso che il CORRETTO e COSTANTE utilizzo del profilattico, durante OGNI SINGOLO rapporto sessuale penetrativo, e di siringhe monouso strettamente personali, qualora si faccia uso di droghe per via endovenosa, rimangono gli unici comportamenti scientificamente efficaci nel prevenire il contagio.

Ci tengo a sottolineare che il personale medico ritiene buona norma che si sottoponga periodicamente al test dell'HIV e delle altre malattie sessualmente trasmissibili chiunque, seppur nel totale rispetto della suddetta profilassi, abbia una vita sessuale attiva.

Vi ricordo che il test è anonimo e gratuito (personalmente, lo dico per gli amici pisani, ogni volta che ho deciso di effettuare la mia donazione di sangue od eseguire qualsiasi test, compreso quello per HIV, ho trovato in Santa Chiara personale infermieristico sempre gentile e preparato) ed è effettuabile presso la maggior parte dei presidi ospedalieri e presso i comuni laboratori pubblici e privati per analisi cliniche ed epidemiologiche.

Ovviamente nessuno di noi può essere sottoposto al test senza il suo consenso.
Semplicemente chi è donatore sa che il suo sangue sarà obbligatoriamente ed accuratamente testato per tutte le malattie infettive a trasmissione ematologica, ed è bene che si astenga dal donare nel caso in cui ritenga di aver vissuto una situazione a rischio di infezione.

Le linee guida italiane suggeriscono che il test per HIV venga eseguito ad un mese, tre mesi e sei mesi dopo l'ultimo comportamento a rischio di contagio.
La comunità scientifica internazionale (Centers for Disease Control and Prevention in Atlanta) ritiene che un risultato negativo al primo mese possa considerarsi ampiamente rassicurante considerata la sensibilità dei test oggi in uso nella stragrande maggioranza dei laboratori dislocati nei Paesi occidentali. Ciononostante rimane l'indicazione di eseguire un test di conferma al terzo mese.

Per concludere vorrei aggiungere che le maggiori associazioni che si occupano di HIV/AIDS sono spesso alla ricerca di persone desiderose di ricevere un'adeguata formazione, non solo di tipo scientifico, allo scopo di prestare servizio come informatori, educatori e volontari a supporto di persone sieropositive e non.

Ecco qui di seguito alcuni link interessanti:

http://www.lila.it/

http://viverealsole.comunitaemmaus.it/

http://www.cdc.gov/

Domenico Prellino

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