lunedì 14 novembre 2011

Rancore e speranza

Permettetemi oggi di scrivere di rancore e di speranza.
Con l'obbiettivo di costruire uno spazio di espressione anche per le vostre opinioni, di consenso o di dissenso non importa, su quello che avrò scritto.
Non ho la pretesa in questo post di fornire alcun giudizio oggettivo sull'uomo Berlusconi; sarà la storia, insieme alla coscienza collettiva, a fornire nel tempo interpretazioni scientificamente valide.
La mia è la discutibile (guai se non lo fosse!) opinione di un cittadino libero in un Paese libero. Tutto qui.
 
In questi giorni il Presidente della Repubblica ci ha aiutati e sostenuti nel voltare pagina.
Ma voltare pagina non significa dimenticare.
Permettemi quindi di scrivere di rancore, prima di tutto.
Nel momento in cui gioisco, e sarei un ipocrita ad affermare il contrario, per la caduta di questo governo, la quale è un incontrovertibile dato di fatto, patisco nostalgicamente per quello che avrebbe potuto essere in questi diciassette anni ed invece non è stato, e la rabbia ed il rancore scaturiscono dalla consapevolezza che per un laico ateo come me, convinto che non ci sia una seconda vita eterna dove la vanitas vanitatum di questa realtà perderà il suo significato o verrà quantomeno riscattata, questo tempo è stato sprecato.
Invidia per chi ha ricevuto il dono della fede?Un po' sì, lo ammetto.
Nato nel 1981, fresco dei miei trent'anni, ho vissuto come molti di voi la mia fase adolescenziale e giovanile sotto l'egida Berlusconi. C'è una nota positiva in tutto ciò: i miei soli tredici anni mi hanno coibentato e protetto in un ricordo sbiadito della discesa in campo dell'uomo più discusso d'Italia, mentre mi ritrovo in una fase di maggiore lucidità, maturità, esperienza e consapevolezza proprio nel momento in cui quest'epoca volge, si spera, al termine.
Che non sia stato il ventennio fascista è chiaro, perché quest'ultimo chiedeva, seppur con la forza e la repressione del dissenso, l'aderenza ad un programma specifico, che paradossalmente sostanziava la sua follia ricorrendo alla filosofia morale.
Berlusconi ha invece solo chiesto, soavemente, sommessamente, oserei dire MEDIATICAMENTE, il consenso degli Italiani a giustificarlo nella sua ascesa in cui l'etica è l'assenza di etica, in cui il liberismo diventa libertinaggio, in cui il dialogo diretto con l'elettore diventa spicciolo populismo ed istiga alla sommossa in difesa dei privilegi dell'Imperatore che guida il suo popolo, in cui la democrazia degenera in demagogia peronista ("ghe pensi mi" docet, scusate se la mia calabresità mi ha indotto in qualche errore di accentazione).
Sono pieno di rancore. Non nei riguardi dei miei connazionali, ci mancherebbe altro.
Semplicemente nei riguardi delle ingannevoli motivazioni che sono state loro vendute e li hanno spinti a certe "libere" scelte. Ciò che mi rattrista è che i miei connazionali abbiano ingenuamente accettato il patto dell'Imperatore con gli Italiani.
In ogni caso li giustifico, i miei connazionali. Prima di tutto perché ogni elettore, quando vota, lo fa in buona fede e non perché si augura la catastrofe. E poi perché un territorio considerato, ancor prima dell'ascesa berlusconiana, la "periferia" dell'Occidente, ha spinto i miei connazionali a trovare nelle reti televisive del "self-made man" venuto da Arcore la giustificazione e addirittura l'esaltazione proprio di quel modus vivendi che aveva da sempre costituito un ostacolo alla crescita civile, prima che economica, del Paese e che era motivo di imbarazzo sulla scena mondiale.
Stile di vita fatto di abuso di immagine, di ossessione per la "bella figura", di massacro della fisicità cristallizzata ed ipertrofizzata dalla chirurgia plastica ("mens plastica in corpore plastico", mi è venuta così, di getto), di qualunquismo, di degradazione dello status femminile, di furbizia spicciola del raggiro delle leggi, di esplicito attacco ad una Costituzione che ostacola l'esercizio dei propri "porci comodi", di conoscenze e competenze accertate in camera da letto e non mediante regolare concorso.
La "meritocracy" sostituita dalla "videocracy". Quella videocracy che ci ha impedito per lungo periodo di gridare uniti "Forza Italia" senza essere misinterpretati e che, sul retroscena, lavorava parallelamente allo sgretolamento dell'unità nazionale, inerme di fronte al ricatto leghista.
Quando il "vizio" viene integrato ed esaltato nel sistema e nelle leggi l'italiano non ha più di che preoccuparsi; sta in effetti rispettando la "nuova legge".E la coscienza, cristiana o laica che sia, può riposare in pace. Silvio Berlusconi era a conoscenza di queste sottili trame psicologiche; più volte, a partire dagli anni Ottanta, avrebbe messo a tacere la sua coscienza durante la costruzione del suo impero.
Ma Berlusconi ha profondamente offeso la nostra intelligenza con la sua ferrea convinzione che mai ci saremmo fermati a riflettere sul percorso di degrado intrapreso e che assecondarci nel nostro "delirio di italianità" avrebbe rappresentato per la sua persona una giustificazione sconfinata del suo immanente non-operato politico.
Purtroppo ha ragione quando sostiene che è stata la crisi economica, ossia la pancia degli Italiani e dell'Europa e non il loro cervello, a destituirlo. Perché le esigenze "di pancia" costituiscono sempre la prima scossa.
Fortunatamente per noi la forza-debolezza di Berlusconi è stata per buona parte quella di aver creato un rapporto diretto con il popolo senza mettere troppo in conto, in un folle delirio di onnipotenza, che lo stesso scalpiterà impaziente, seppur dotato di capacità critiche, quando stretto nella morsa delle esigenze quotidiane dell' "arrivare a fine mese" ed indifferente alle prospettive di medio-lungo periodo.
Prospettive di medio e lungo periodo che hanno finalmente permesso all'Europa di inchiodarlo sul banco degli imputati. Gaudemus.
 
Permettemi allora di scrivere anche di speranza.
Una speranza che risiede nella cultura, nell'intelligenza, nella conoscenza, di cui il nostro Presidente della Repubblica è esempio indiscusso e super partes.
Il politico per eccellenza è lui, che si è fatto carico di tradurre la "pancia" in programma di palazzo.
 
Colui che per primo ha capito che la crisi dei rappresentati è prima di tutto crisi dei rappresentanti.
 
Colui che ha saputo davvero, al contrario dell'ex premier, "ascoltare" la piazza e non solo "sentirla" ed incitarla, nella consapevolezza che le istanze da essa proposte vadano, prima o POI, collocate e razionalizzate in uno schema da presentare alla diplomazia nazionale ed internazionale.
Colui che sa inoltre che in una fase di difficile transizione anche il popolo, ma non solo il popolo, sarà offerto in sacrificio sull'altare della Patria.
Colui che ha provato, spesso con uno stile imperativo da buon anziano maestro, ad insegnarci che non esiste democrazia e sovranità del popolo senza la sua ADEGUATA e pluralista rappresentazione nella Stanza dei Bottoni.
Colui che ha evitato che Berlusconi ci usasse come scudo "in nome del popolo sovrano" nei suoi sforzi per evitare qualsiasi dialettica con l'opposizione, meccanismo costitutivo di ogni sana democrazia.
 
Sono pieno di speranza proprio perché il suo messaggio è stato compreso da molti tra voi che leggono questo mio post, un tempo entusiasti dell'arrivo dell'imprenditore brianzolo sulla scena politica, oggi disposti ad ammettere con intelligenza che si è trattato di un errore. Siete impazziti?No. Siete vigliacchi e girate le spalle all'Imperatore senza più trono?No. Siete semplicemente gente di cultura ed intelligenza (la presenza dell'una senza l'altra non sortisce grandi effetti) che sa che nella vita gli errori possono commettersi e che dalle loro conseguenze si può costruire una società più equa e più giusta.
Sulla vostra ammissione di errore, "compagni di destra", siate pur certi che la sinistra non mediterà vendetta né gioirà, perché uno stato di emergenza, al pari di una guerra, non conosce né vincitori né vinti. Ciò che oggi la sinistra sana chiede è semplicemente senso di responsabilità. Da una parte e dall'altra.
E se dal rammarico, che auspico ci sia, per scelte sbagliate non nascono programmi e nuove scelte, quantomeno puo' scaturire una linfa vitale che, se ben canalizzata (vade retro black bloc), costituisce per tali programmi e tali scelte la prima spinta energetica, la prima speranza di attuazione.
 
La strada che Napolitano ha scelto per il raggiungimento degli scopi si chiama Mario Monti.
Sarà la strada giusta?Non possiamo saperlo. Monti è un uomo, e la sua "umanità" lo rende fallibile.
Si tratta di una strada ADEGUATA?Sicuramente sì, quantomeno più adeguata del precedente organico di governo. E perché mai dovrebbe esserlo?
Perché esistono momenti di piazza e momenti di palazzo. Lo sa anche la sinistra alla quale con orgoglio appartengo, quella sinistra "comunista" da sempre falsamente accusata di barricarsi dietro al popolo pur di non venire allo scoperto. Quella sinistra che sicuramente ha sbagliato per mancanza di coraggio, raramente col palese proposito dell'inganno.
Perché Monti rappresenta un certo tipo di formazione, dalla quale come laureato in fisica sono per molti aspetti lontanissimo e non mi sento rappresentato, ma di cultura e formazione si tratta. E questo mi basta, per adesso.
 
Prima di gridare alla sconfitta della politica che cede il passo alla finanza-macelleria  bisogna fermarsi a pensare che il capo dello stato ha invocato cultura, ha invocato competenze e conoscenze, ha auspicato un nuovo esecutivo che sappia trarre dagli ormai INEVITABILI sacrifici, che dovrebbero colpire TUTTI, dei profitti direttamente spendibili in nuovo welfare, nuova occupazione, nuovo reddito, nuova crescita.
Nuovo respiro forse più per le industrie e le imprese che per i dipendenti pubblici, se vogliamo dirla tutta cari amici di destra.
 
Ma una certa destra sa che Napolitano potrebbe aver sollecitato una fase di transizione solo per poter in seguito mettere il Paese sulla strada di un riformismo progressista più che liberale, ed è questo che teme quando presa da crisi epilettiche urla al voto nel più breve tempo possibile.
Delle intenzioni di Napolitano nessuno può essere certo, ma mi auguro che la mia interpretazione possa essere almeno parzialmente vera perché non sono e non sarò mai un liberista e rimango della ferma convinzione che non è la privatizzazione facile la strada per far emergere il talento nazionale né sono convinto che quest'ultimo possa mai trasparire soltanto dal profitto e dai "successi" economici del privato cittadino.
D'altro canto sono sempre stato convinto che il rispetto del patto sociale non costituisca ostacolo al libero percorso del singolo nella sua strada verso l'affermazione personale.
Se il "piano Napolitano" è quello che mi auguro io, figlio di un ferroviere e di una insegnante, insegnante a mia volta in uno dei periodi più dolenti anche per quel Ministero dell'Istruzione che ha il gravoso compito di formare la capacità critica di questa nazione, non potrò che iniziare a sorridere, senza scherno o derisione per l'avversario, dopo diciassette anni in cui ho avuto difficoltà a capire la comicità del mio Primo Ministro.
La destra liberista composta, per usare citazioni alla Di Pietro, da quel forte monopolio del 10% di cittadini che detiene il 60% delle ricchezze nazionali, teme proprio che le scelte di Napolitano portino, in futuri auspicabili tempi di crisi calmierata, alla VERA mutazione delle richieste della piazza in riforme e ristrutturazione del welfare.
Inizia per una certa destra italiana l'incubo della patrimoniale, la preoccupazione che una borghesia ricca ma non colta, incapace di fare impresa, non sappia rinnovarsi secondo principi di merito e competenze una volta depauperata anche soltanto di una minima parte del suo immenso capitale.
 
La cultura progressista e riformista della "sinistra radical-chic", come amano appellarci i nostri interlocutori politici, potrebbe addirittura vincere sui sostenitori del "diritto per nascita".
 
Inizia per la destra la paura che il suo establishment crolli sotto il peso della sua stessa insipienza.
Establishment che, facciamo attenzione a questo punto delicato, non raccoglie tout court la nostra classe politica nel principio qualunquista del "tanto sono tutti uguali", "i poveri saranno sempre poveri, i ricchi sempre ricchi", " i sindacati se ne fregano"; principio che in un buon liceo non ti consente nemmeno a quindici anni, giustamente, di oltrepassare la soglia del "quattro meno meno" al tema di italiano.
Napolitano e Monti NON sono della stessa pasta berlusconiana. Non lo è nemmeno Fini e non lo era nemmeno il suo predecessore Almirante, e li cito proprio perché è ben noto che ho gusti politici, e lo sapete bene, diametralmente opposti.
 
Monti è un borghese ricco, seppur non esageratamente; non c'è dubbio.
Monti deve obbedire alla ricetta europea, non c'è dubbio. E di questi tempi meglio avercela una ricetta, giusta o sbagliata che sia, pur di non continuare a sguazzare tra letterine-ministre, fantomatici tunnel che collegano la Svizzera all'Abruzzo, fascisti e democristiani di basso livello (rassegnatevi cari berluschini, i comunisti non esistono se non nella vostra mente) e tutta la pletora di residui e di rimpasti dei precedenti governi.
Monti non è e non sarà un eroe; non c'è dubbio. E' stato infatti assunto come tecnico, non come Gesù Cristo o Superman.
Monti è un borghese e sacrificherà ANCHE il popolo; non c'è dubbio. Lo sappiamo a sinistra, lo sappiamo. Non ci siamo mica bevuti il cervello.
Ma Monti è un illustre e riconosciuto esperto di economia e di finanza dalla fedina penale pulita; non c'è dubbio nemmeno su questo punto.
 
Se ne faccia una ragione la destra, senza rancore. Con tanta speranza.
 
Domenico Prellino