domenica 29 novembre 2009

Napoli, mon amour

Non so perché, ma da quando ho finito gli studi di fisica, ai quali per molti anni mi sono dedicato anima e corpo, il senso dell'esplorazione, della ricerca e della comprensione delle cose ha iniziato ad avere come oggetto l'uomo e la società anziché i miei amati atomi ed elettroni.
E' come se avessi recuperato, a studi completati, una dimensione più liceale che universitaria.
Ed i miei viaggi, professionali e non, a zonzo per il mondo, sono sempre pervasi da una curiosità antropologica che per alcuni anni avevo accantonato.
La decisione di tornare a Napoli per un fine settimana, dopo più di venti anni di assenza, è stata motivata proprio da ciò.
La mia più grande curiosità era quella di capire se l'unica vera metropoli meridionale, dal passato glorioso e dal presente estremamente incerto, avrebbe avuto la stessa capacità di stupire un quasi trentenne così come ci era riuscita con quel timido bambino di fine anni Ottanta.
Napoli ha svolto il suo compito: mi ha sparato dritto al cuore ed ha fatto ancora centro, inesorabilmente.
E lo stupore nasce dal mix di due sistemi "complicati" che si sono evoluti, o involuti, insieme: io e Napoli, Napoli ed io.
Napoli è "fetiente", come direbbero i napoletani stessi, perché ti fa innamorare e ti illude, poi ti delude, ma ti consola.
Ed il mio amore per Napoli è quello di una persona oramai profondamente distante da questa città nella forma ed indiscutibilmente vicina ad essa nella sostanza.
Ho sempre sostenuto che la terra in cui siamo nati plasma in percentuale consistente la nostra anima ed il nostro modo di percepire le cose; ed è per questo motivo che Napoli può essere al contempo esotica e familiare per un calabrese, e per un meridionale in generale.
La Calabria è una terra estremamente povera, ed estremamente silenziosa e chiusa nella sua povertà.
La lotta contro un territorio aspro, arido, ostile ha fatto del calabrese una persona forte, determinata, con un grande senso dell'orgoglio, con una grande voglia di riscatto, purtroppo estremamente permalosa e testarda anche nel suo perseverare nell'errore.E tutto questo te lo porti in valigia quando a diciotto anni arrivi a Pisa e quando a ventisei atterri in Germania o in America.
La Calabria non è solo provincia, è anche periferia.
E' forse la terra che l'italiano medio conosce meno; nella mia esperienza pisana quando un toscano ti chiede della Calabria lo fa spesso con la curiosità che si riserva a qualcosa di veramente ignoto, distante geograficamente e non solo.
Anche Napoli è povera, anche Napoli è estremamente in ritardo; ma è una prima donna mai lontana dai riflettori perché, a ragion veduta, non è né periferia né provincia nemmeno al cospetto delle più grandi aree industriali del Nord.
Tutti conoscono Napoli: a Napoli la sofferenza del Sud diventa plateale, diventa teatro di strada, diventa pathos, diventa musica malinconica, diventa lotta per la sopravvivenza, e quindi il "male di vivere" non è quello di una Milano "snob e bionda" annoiata tra una pista di cocaina ed una seduta di psicoanalisi, ma è consapevolezza di una quotidianità che la povertà ha reso estremamente crudele.
Qui anche le contraddizioni devono obbedire alla regola dell'eccesso: le strade sono colme di rifiuti, ma anche intrise di un ottimo odore di cibo e dotate di locali, musei, ristoranti, cinema ed istituti universitari prestigiosi e all'avanguardia, pulitissimi e dotati di personale gentile e ben educato.
Napoli non si vergogna di mostrare gli aspetti migliori e peggiori della sua italianità e la sua presenza sul territorio nazionale è già di per sé denuncia di un sistema in cui tutti siamo vittime e tutti siamo carnefici.
E' proprio per questo che Reggio Calabria è solo Reggio Calabria, Milano è solo Milano, Firenze è solo Firenze mentre Napoli NON è solo Napoli.
Napoli è il Sud, Napoli è la Campania, la Calabria, la Puglia, la Basilicata, la Sicilia in un solo colpo, e ti sbatte in faccia senza pudore non solo la bellezza ma anche i sintomi più eclatanti della malattia storico-sociale di queste terre.
E' proprio per questo che a Napoli mi sento a casa.
Ed è proprio per questo che allo stesso tempo odio Napoli.
La odio per eccesso di amore.
Odio quella Napoli indolente, pigra e dimentica di quei fasti per i quali ha pagato, insieme a Palermo, il prezzo più alto all'Unità d'Italia, o meglio all'annessione piemontese.
Odio, per lo stesso motivo, quella Napoli che accetta e si assume senza reagire il ruolo di "parassita fiscale" attribuitole dalle nuove ideologie leghiste.
Napoli quindi delude.
Ma Napoli mi consola nel momento in cui realizzo quanto mi assomiglia: è enzima della mia meridionalità più di quanto lo sia la mia Calabria.
Qui la contraddizione, l'indigenza, la precarietà del vivere sono intrise di una violenza, di una passione, ed in parte anche di un'ironia esagerata ed insolente, che Reggio Calabria, Bari, Potenza, Catania cercano costantemente di nascondere dietro ad un finto e borghese senso civico ed un ancor più surreale benessere economico, patrimonio di pochi e sogno irrealizzabile per i più.
Ed assaporare tutto questo significa per me passeggiare o cenare tranquillamente a Forcella, a Montesanto o ai Quartieri Spagnoli con le buste degli acquisti delle lussuose via Toledo, via Caracciolo o Mergellina.Con orologio e portamonete in vista.
L'ho fatto perché i napoletani, che conoscono le leggi non scritte della miseria, ti sconsiglierebbero di "fare il turista" proprio in quei posti e quindi perché sono pienamente convinto che Napoli si conosce, e quindi si può amare ed odiare, solo dopo averla sfidata nella sua più indissolubile certezza del "ccà è permess' tutt'e cose non pecché tien' o diritt' ma pecché s'è semp' fatt' e sultant' pe dishpiett'".
Napoli, ti amo.

Domenico Prellino

http://www.youtube.com/watch?v=RCXKPYrzgGo

mercoledì 4 novembre 2009

La "croce" di un Paese

In data 3 Novembre 2009, e sottolineo 2009, si apprende che la Corte di Strasburgo vieta l'esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche.
In data 3 Novembre 2009, e sottolineo 2009, nell'Italietta oramai Paese di seconda categoria, se non terza, scoppia la polemica.
Lo apprendo dalla rete in questa bella serata di un autunno toscano.
Pare che i politici, dimentichi della crisi che ci opprime, della mancanza di lavoro, della mobilità degenerata in precarietà, delle numerose generazioni italiane ormai inutilizzabili come risorsa per il Paese, inchinino il capo di fronte al Vaticano.
Ancora una volta, oramai da secoli.
Non mi scandalizza l'opinione secondo la quale il Crocifisso è espressione della nostra radice culturale.
E' profondamente vero.Quindi forse nemmeno di opinione si tratta, si tratta di storia.
Chi è quel folle che si ostinerebbe a confutare il valore di verità intrinseco della storia?
L'Italia e l'Europa hanno radici cristiane, hanno un Medioevo cristiano che, anche nei peggiori periodi di oscurantismo del credo, ha posto le basi per lo sviluppo delle nostre società moderne.
Addirittura il più ateo fra gli atei europei, il più materialista fra i materialisti europei, è in parte un cristiano nel più profondo sentire ed agire.
Per una questione di additività, e la matematica non è un opinione, a maggior ragione anche le più vaste comunità atee e materialiste europee sono in parte cristiane.
E' questo sufficiente per gridare allo scandalo per la rimozione dalle aule europee del più cristiano tra i simboli cristiani?
Seppur non sono la fotocopia di mio padre nell'agire, nel pensare, nel mio essere quello che sono fisicamente e non, ho i suoi capelli ricci e folti come espressione dei suoi geni; la permalosità, la passionalità e la voglia di scrivere sono invece regali ricevuti da mia madre.
Tuttavia la mia evoluzione non è stata quelle dei miei avi più prossimi.
In parte perché le mie scelte non sono state le loro, e forse perché in larga misura non avrebbero potuto esserlo comunque.
Io NON sono mio padre;io NON sono mia madre.
Ne sono biologicamente un "ricordo".
Solo e soltanto un ricordo poiché alcuni aspetti del mio essere sono frutto di un vissuto personale il quale, nulla avendo a che fare con una eredità biologica, mi garantisce l'unicità.
Io posso essere NON cristiano pur avendo genitori cristiani.
Nel mix dell'evoluzione ho perso il "gene" del Cristianesimo come scelta di vita razionalmente attuata, pur condividendo molti valori che sono dottrina cristiana e pur agendo, spesso inconsciamente, da cristiano.
E posso garantirvi che questo è uno stato di fatto per nulla poco frequente nella società europea attuale.
Ecco: l'Europa di oggi ha ereditato geneticamente il Cristianesimo dall'Europa di ieri perché di quest'ultima è figlia, i luoghi dell'Europa di oggi hanno ancora molto di cristiano, le genti dell'Europa di oggi condividono dei valori cristiani.
Ma le generazioni, le società, o meglio le masse si evolvono per una buona percentuale come il singolo individuo, e bisogna mettere in conto che eredità non significa identità.
Il tempo, che per un fisico è evoluzione anche nella staticità, ha trasformato l'identità in eredità, in ricordo.
Niente più che ricordo.Con tutto il rispetto che alla memoria ed al ricordo è dovuto.
L'Italia dei nonni si identificava nei suoi valori cristiani, le verginità corporale e spirituale erano sacrosante nel senso letterale del termine; e la vita dei singoli era, salvo rare eccezioni, specchio di una educazione impartita più dai preti che dalle famiglie o dagli istituti di istruzione.
La laicità non era un argomento usato, forse nemmeno abusato.
Sacrilegio non mettere una croce sullo scudo con la parola Libertas nella Calabria della mia più tenera infanzia!!
D'altronde lo aveva detto il prete, quindi la giustezza della scelta era fuori discussione.
Il ragazzino dalla famiglia "allargata" avrebbe inevitabilmente dovuto superare un adolescenza difficile e sofferta;questo il parere esperto delle catechiste formatesi ai prestigiosi corsi di teologia di Palmi, in provincia di Reggio Calabria.
Loro sì, allieve modello protette dal Vescovo di turno, avevano sicuramente capito tutto.
Non è più così; noi NON siamo i nostri nonni.
Come potremmo esserlo, se non siamo nemmeno la nostra infanzia?
Siamo quello che siamo diventati, hic et nunc:più laici seppur ancora benpensanti, più precari, diversamente abili, conviventi senza aver ricevuto i sacramenti, omosessuali in attesa di diritti civili, donne in ritardo biologico, figli di genitori divorziati, utilizzatori di profilattici, di voli lastminute e di pillole anticoncezionali, divoratori di cibo da MacDonald, di caramelle alla frutta Coop e di nudità da Grande Fratello, onanisti dipendenti, assuefatti.
Ed assolutamente senza rimorso, perché forse senza nemmeno colpa.
L'Italia di oggi ha un gene cattolico ma NON è più un'Italia sufficientemente cattolica se si guarda al rispetto nei confronti dei precetti del credo.
E non si può essere cristiani "a convenienza", perché la convenienza, e la comodità che da essa origina, non sono cristiane.
L'Italia figlia ha fatto scelte diverse dall'Italia madre; a questa non può che assomigliare per legge di natura, da questa differisce in ragione dell'evoluzione.
Il concetto è estendibile a tutta l'Europa, a tutto il mondo forse.
Il Crocifisso in aula diventa quindi cimelio storico, dote ingombrante, cilicio alla Binetti, baluardo di ipocrisia e perbenismo, non certo simbolo di un sentire comune, attuale.
Parlando e confrontandomi con le nuove generazioni ogni giorno mi sono convinto che è così.
Abbiamo già riposto da un bel pò nel cassetto i gilet, le bretelle, le sottane di seta, pizzi e merletti insieme al rigore fascista, ed i pantaloni a zampa insieme al loro sessantottino fervore politico.
Ed il riporre nel cassetto non impedisce affatto di ricordare, qualora se ne abbia la voglia. Nè ostacola, in una società libera, un comportamento individuale che sposi il passato come stile di vita.
L'anacronismo del singolo non è affatto una malattia grave, e soprattutto non è contagiosa.Quindi assolutamente ben tollerata.
E' ora di riporre nel cassetto anche il Crocifisso.E chi non vuole dimenticarsene è assolutamente libero di farlo.
L'Europa lo ha già capito.
L'Italia anche, ma ha solo più paura.
Che il Crocifisso, e tutto quello che esso rappresenta nella comodità laica dei nostri tempi, non diventi col passare dei secoli l'oggetto più dimenticato della nostra storia?
Spesso le abitudini e le usanze più ipocrite si abbandonano in maniera rapida ed indolore esattamente nel momento in cui la legge, e quindi le caste sociali che più contano, lo permette.
Si tratta di un nuovo ordine costituito.
Sparirono così anche i ritratti di Mussolini nelle case degli Italiani, da un giorno all'altro.
Poco male per alcuni.Poco bene per altri.La storia d'altronde si racconta, non si giudica.
E' sparito anche il Crocifisso.
Come si direbbe con fatalismo calabrese: "era distinu".

Domenico Prellino