Permettetemi oggi di scrivere di rancore e di speranza.
Con l'obbiettivo di costruire uno spazio di espressione anche per le vostre opinioni, di consenso o di dissenso non importa, su quello che avrò scritto.
Non ho la pretesa in questo post di fornire alcun giudizio oggettivo sull'uomo Berlusconi; sarà la storia, insieme alla coscienza collettiva, a fornire nel tempo interpretazioni scientificamente valide.
La mia è la discutibile (guai se non lo fosse!) opinione di un cittadino libero in un Paese libero. Tutto qui.
In questi giorni il Presidente della Repubblica ci ha aiutati e sostenuti nel voltare pagina.
Ma voltare pagina non significa dimenticare.
Permettemi quindi di scrivere di rancore, prima di tutto.
Nel momento in cui gioisco, e sarei un ipocrita ad affermare il contrario, per la caduta di questo governo, la quale è un incontrovertibile dato di fatto, patisco nostalgicamente per quello che avrebbe potuto essere in questi diciassette anni ed invece non è stato, e la rabbia ed il rancore scaturiscono dalla consapevolezza che per un laico ateo come me, convinto che non ci sia una seconda vita eterna dove la vanitas vanitatum di questa realtà perderà il suo significato o verrà quantomeno riscattata, questo tempo è stato sprecato.
Invidia per chi ha ricevuto il dono della fede?Un po' sì, lo ammetto.
Nato nel 1981, fresco dei miei trent'anni, ho vissuto come molti di voi la mia fase adolescenziale e giovanile sotto l'egida Berlusconi. C'è una nota positiva in tutto ciò: i miei soli tredici anni mi hanno coibentato e protetto in un ricordo sbiadito della discesa in campo dell'uomo più discusso d'Italia, mentre mi ritrovo in una fase di maggiore lucidità, maturità, esperienza e consapevolezza proprio nel momento in cui quest'epoca volge, si spera, al termine.
Che non sia stato il ventennio fascista è chiaro, perché quest'ultimo chiedeva, seppur con la forza e la repressione del dissenso, l'aderenza ad un programma specifico, che paradossalmente sostanziava la sua follia ricorrendo alla filosofia morale.
Berlusconi ha invece solo chiesto, soavemente, sommessamente, oserei dire MEDIATICAMENTE, il consenso degli Italiani a giustificarlo nella sua ascesa in cui l'etica è l'assenza di etica, in cui il liberismo diventa libertinaggio, in cui il dialogo diretto con l'elettore diventa spicciolo populismo ed istiga alla sommossa in difesa dei privilegi dell'Imperatore che guida il suo popolo, in cui la democrazia degenera in demagogia peronista ("ghe pensi mi" docet, scusate se la mia calabresità mi ha indotto in qualche errore di accentazione).
Sono pieno di rancore. Non nei riguardi dei miei connazionali, ci mancherebbe altro.
Semplicemente nei riguardi delle ingannevoli motivazioni che sono state loro vendute e li hanno spinti a certe "libere" scelte. Ciò che mi rattrista è che i miei connazionali abbiano ingenuamente accettato il patto dell'Imperatore con gli Italiani.
In ogni caso li giustifico, i miei connazionali. Prima di tutto perché ogni elettore, quando vota, lo fa in buona fede e non perché si augura la catastrofe. E poi perché un territorio considerato, ancor prima dell'ascesa berlusconiana, la "periferia" dell'Occidente, ha spinto i miei connazionali a trovare nelle reti televisive del "self-made man" venuto da Arcore la giustificazione e addirittura l'esaltazione proprio di quel modus vivendi che aveva da sempre costituito un ostacolo alla crescita civile, prima che economica, del Paese e che era motivo di imbarazzo sulla scena mondiale.
Stile di vita fatto di abuso di immagine, di ossessione per la "bella figura", di massacro della fisicità cristallizzata ed ipertrofizzata dalla chirurgia plastica ("mens plastica in corpore plastico", mi è venuta così, di getto), di qualunquismo, di degradazione dello status femminile, di furbizia spicciola del raggiro delle leggi, di esplicito attacco ad una Costituzione che ostacola l'esercizio dei propri "porci comodi", di conoscenze e competenze accertate in camera da letto e non mediante regolare concorso.
La "meritocracy" sostituita dalla "videocracy". Quella videocracy che ci ha impedito per lungo periodo di gridare uniti "Forza Italia" senza essere misinterpretati e che, sul retroscena, lavorava parallelamente allo sgretolamento dell'unità nazionale, inerme di fronte al ricatto leghista.
Quando il "vizio" viene integrato ed esaltato nel sistema e nelle leggi l'italiano non ha più di che preoccuparsi; sta in effetti rispettando la "nuova legge".E la coscienza, cristiana o laica che sia, può riposare in pace. Silvio Berlusconi era a conoscenza di queste sottili trame psicologiche; più volte, a partire dagli anni Ottanta, avrebbe messo a tacere la sua coscienza durante la costruzione del suo impero.
Ma Berlusconi ha profondamente offeso la nostra intelligenza con la sua ferrea convinzione che mai ci saremmo fermati a riflettere sul percorso di degrado intrapreso e che assecondarci nel nostro "delirio di italianità" avrebbe rappresentato per la sua persona una giustificazione sconfinata del suo immanente non-operato politico.
Purtroppo ha ragione quando sostiene che è stata la crisi economica, ossia la pancia degli Italiani e dell'Europa e non il loro cervello, a destituirlo. Perché le esigenze "di pancia" costituiscono sempre la prima scossa.
Fortunatamente per noi la forza-debolezza di Berlusconi è stata per buona parte quella di aver creato un rapporto diretto con il popolo senza mettere troppo in conto, in un folle delirio di onnipotenza, che lo stesso scalpiterà impaziente, seppur dotato di capacità critiche, quando stretto nella morsa delle esigenze quotidiane dell' "arrivare a fine mese" ed indifferente alle prospettive di medio-lungo periodo.
Prospettive di medio e lungo periodo che hanno finalmente permesso all'Europa di inchiodarlo sul banco degli imputati. Gaudemus.
Permettemi allora di scrivere anche di speranza.
Una speranza che risiede nella cultura, nell'intelligenza, nella conoscenza, di cui il nostro Presidente della Repubblica è esempio indiscusso e super partes.
Il politico per eccellenza è lui, che si è fatto carico di tradurre la "pancia" in programma di palazzo.
Colui che per primo ha capito che la crisi dei rappresentati è prima di tutto crisi dei rappresentanti.
Colui che ha saputo davvero, al contrario dell'ex premier, "ascoltare" la piazza e non solo "sentirla" ed incitarla, nella consapevolezza che le istanze da essa proposte vadano, prima o POI, collocate e razionalizzate in uno schema da presentare alla diplomazia nazionale ed internazionale.
Colui che sa inoltre che in una fase di difficile transizione anche il popolo, ma non solo il popolo, sarà offerto in sacrificio sull'altare della Patria.
Colui che ha provato, spesso con uno stile imperativo da buon anziano maestro, ad insegnarci che non esiste democrazia e sovranità del popolo senza la sua ADEGUATA e pluralista rappresentazione nella Stanza dei Bottoni.
Colui che ha evitato che Berlusconi ci usasse come scudo "in nome del popolo sovrano" nei suoi sforzi per evitare qualsiasi dialettica con l'opposizione, meccanismo costitutivo di ogni sana democrazia.
Sono pieno di speranza proprio perché il suo messaggio è stato compreso da molti tra voi che leggono questo mio post, un tempo entusiasti dell'arrivo dell'imprenditore brianzolo sulla scena politica, oggi disposti ad ammettere con intelligenza che si è trattato di un errore. Siete impazziti?No. Siete vigliacchi e girate le spalle all'Imperatore senza più trono?No. Siete semplicemente gente di cultura ed intelligenza (la presenza dell'una senza l'altra non sortisce grandi effetti) che sa che nella vita gli errori possono commettersi e che dalle loro conseguenze si può costruire una società più equa e più giusta.
Sulla vostra ammissione di errore, "compagni di destra", siate pur certi che la sinistra non mediterà vendetta né gioirà, perché uno stato di emergenza, al pari di una guerra, non conosce né vincitori né vinti. Ciò che oggi la sinistra sana chiede è semplicemente senso di responsabilità. Da una parte e dall'altra.
E se dal rammarico, che auspico ci sia, per scelte sbagliate non nascono programmi e nuove scelte, quantomeno puo' scaturire una linfa vitale che, se ben canalizzata (vade retro black bloc), costituisce per tali programmi e tali scelte la prima spinta energetica, la prima speranza di attuazione.
La strada che Napolitano ha scelto per il raggiungimento degli scopi si chiama Mario Monti.
Sarà la strada giusta?Non possiamo saperlo. Monti è un uomo, e la sua "umanità" lo rende fallibile.
Si tratta di una strada ADEGUATA?Sicuramente sì, quantomeno più adeguata del precedente organico di governo. E perché mai dovrebbe esserlo?
Perché esistono momenti di piazza e momenti di palazzo. Lo sa anche la sinistra alla quale con orgoglio appartengo, quella sinistra "comunista" da sempre falsamente accusata di barricarsi dietro al popolo pur di non venire allo scoperto. Quella sinistra che sicuramente ha sbagliato per mancanza di coraggio, raramente col palese proposito dell'inganno.
Perché Monti rappresenta un certo tipo di formazione, dalla quale come laureato in fisica sono per molti aspetti lontanissimo e non mi sento rappresentato, ma di cultura e formazione si tratta. E questo mi basta, per adesso.
Prima di gridare alla sconfitta della politica che cede il passo alla finanza-macelleria bisogna fermarsi a pensare che il capo dello stato ha invocato cultura, ha invocato competenze e conoscenze, ha auspicato un nuovo esecutivo che sappia trarre dagli ormai INEVITABILI sacrifici, che dovrebbero colpire TUTTI, dei profitti direttamente spendibili in nuovo welfare, nuova occupazione, nuovo reddito, nuova crescita.
Nuovo respiro forse più per le industrie e le imprese che per i dipendenti pubblici, se vogliamo dirla tutta cari amici di destra.
Ma una certa destra sa che Napolitano potrebbe aver sollecitato una fase di transizione solo per poter in seguito mettere il Paese sulla strada di un riformismo progressista più che liberale, ed è questo che teme quando presa da crisi epilettiche urla al voto nel più breve tempo possibile.
Delle intenzioni di Napolitano nessuno può essere certo, ma mi auguro che la mia interpretazione possa essere almeno parzialmente vera perché non sono e non sarò mai un liberista e rimango della ferma convinzione che non è la privatizzazione facile la strada per far emergere il talento nazionale né sono convinto che quest'ultimo possa mai trasparire soltanto dal profitto e dai "successi" economici del privato cittadino.
D'altro canto sono sempre stato convinto che il rispetto del patto sociale non costituisca ostacolo al libero percorso del singolo nella sua strada verso l'affermazione personale.
Se il "piano Napolitano" è quello che mi auguro io, figlio di un ferroviere e di una insegnante, insegnante a mia volta in uno dei periodi più dolenti anche per quel Ministero dell'Istruzione che ha il gravoso compito di formare la capacità critica di questa nazione, non potrò che iniziare a sorridere, senza scherno o derisione per l'avversario, dopo diciassette anni in cui ho avuto difficoltà a capire la comicità del mio Primo Ministro.
La destra liberista composta, per usare citazioni alla Di Pietro, da quel forte monopolio del 10% di cittadini che detiene il 60% delle ricchezze nazionali, teme proprio che le scelte di Napolitano portino, in futuri auspicabili tempi di crisi calmierata, alla VERA mutazione delle richieste della piazza in riforme e ristrutturazione del welfare.
Inizia per una certa destra italiana l'incubo della patrimoniale, la preoccupazione che una borghesia ricca ma non colta, incapace di fare impresa, non sappia rinnovarsi secondo principi di merito e competenze una volta depauperata anche soltanto di una minima parte del suo immenso capitale.
La cultura progressista e riformista della "sinistra radical-chic", come amano appellarci i nostri interlocutori politici, potrebbe addirittura vincere sui sostenitori del "diritto per nascita".
Inizia per la destra la paura che il suo establishment crolli sotto il peso della sua stessa insipienza.
Establishment che, facciamo attenzione a questo punto delicato, non raccoglie tout court la nostra classe politica nel principio qualunquista del "tanto sono tutti uguali", "i poveri saranno sempre poveri, i ricchi sempre ricchi", " i sindacati se ne fregano"; principio che in un buon liceo non ti consente nemmeno a quindici anni, giustamente, di oltrepassare la soglia del "quattro meno meno" al tema di italiano.
Napolitano e Monti NON sono della stessa pasta berlusconiana. Non lo è nemmeno Fini e non lo era nemmeno il suo predecessore Almirante, e li cito proprio perché è ben noto che ho gusti politici, e lo sapete bene, diametralmente opposti.
Monti è un borghese ricco, seppur non esageratamente; non c'è dubbio.
Monti deve obbedire alla ricetta europea, non c'è dubbio. E di questi tempi meglio avercela una ricetta, giusta o sbagliata che sia, pur di non continuare a sguazzare tra letterine-ministre, fantomatici tunnel che collegano la Svizzera all'Abruzzo, fascisti e democristiani di basso livello (rassegnatevi cari berluschini, i comunisti non esistono se non nella vostra mente) e tutta la pletora di residui e di rimpasti dei precedenti governi.
Monti non è e non sarà un eroe; non c'è dubbio. E' stato infatti assunto come tecnico, non come Gesù Cristo o Superman.
Monti è un borghese e sacrificherà ANCHE il popolo; non c'è dubbio. Lo sappiamo a sinistra, lo sappiamo. Non ci siamo mica bevuti il cervello.
Ma Monti è un illustre e riconosciuto esperto di economia e di finanza dalla fedina penale pulita; non c'è dubbio nemmeno su questo punto.
Se ne faccia una ragione la destra, senza rancore. Con tanta speranza.
Domenico Prellino
lunedì 14 novembre 2011
venerdì 26 novembre 2010
1 Dicembre: Giornata Mondiale contro l'AIDS
L'argomento di questa nota non è uno dei soliti sui quali, cari amici, cerco sempre di portare la vostra attenzione.
Eppure è un argomento che, come donatore di sangue, come educatore (quindi anche INFORMATORE) e, in primo luogo, come essere umano, nondimeno mi sta a cuore.
Credo, e scrivendo questo la vostra intelligenza perdonerà la mia supponenza, che dovrebbe stare a cuore anche a ciascuno di voi.
Vorrei, con questa nota, che ne parlassimo tra amici. E cercherò di raccontarvi come la penso in modo, spero, semplice. Come farei se ne dovessi parlare ad una classe dell'ultimo anno del liceo.
Sono nato nell'ottobre del 1981.
In quello stesso anno una rara aggressiva forma di polmonite colpì cinque cittadini americani, giovani maschi omosessuali.
I cinque ragazzi di San Francisco avevano in comune qualcos'altro: qualche mese dopo nel loro sangue fu isolato un nuovo agente virale, in seguito ritenuto eziologicamente importante per la loro patologia, la quale, a sua volta, sarebbe stata poi considerata una delle espressioni sintomatiche di una sindrome ben più devastante.
Nel 1983 i virologi Robert Gallo e Luc Montagnier chiamarono il nuovo virus “HIV”, Human Immunodeficiency Virus.
Viene da sé che io non ho conosciuto, come molti di voi, un mondo senza AIDS, Acquired ImmunoDeficiency Syndrome.
A quasi trent'anni dalla scoperta del virus la comunità scientifica non ha ancora messo a punto un vaccino preventivo o terapeutico in grado di debellare la malattia dal pianeta.
Dal 1981 ad oggi sono morte nel mondo oltre venti milioni di persone a causa delle patologie che definiscono lo stato di sindrome da immunodeficienza acquisita o a causa di patologie comunque HIV-correlate; circa quaranta milioni sono le persone che oggi convivono con il virus, quasi duecentomila nel nostro Paese.
In Italia vengono diagnosticati circa quattromila nuovi casi di infezione all'anno: ogni due ore una persona viene a contatto con il virus.
Perché, quindi, si parla molto meno di AIDS rispetto a quanto si parli di cancro, di epatiti, di distrofia muscolare, di malattie autoimmuni, di anoressia, di bulimia, di depressione?
Perché il fragoroso rumore della sua “mediaticità” non riecheggia più dagli spot televisivi degli anni Ottanta?
Personalmente ritengo che ci siano dietro ragioni psicologiche, culturali ed economico-sociali.
HIV è presente nel sangue, nello sperma, nelle secrezioni vaginali, nel liquido prostatico, nel latte materno. E' presente, seppur in piccola quantità, anche nella saliva, nel sudore, nell'urina, nelle feci.
Ma il sangue è la nostra linfa vitale, le secrezioni sessuali generano nuove vite e sono l'espressione più diretta del nostro piacere, il latte materno è la nostra prima e più naturale fonte di nutrimento.
HIV è un virus scomodo anche da nominare proprio perché è penetrato tra gli esseri umani, senza chiedere permesso, attraverso le porte di accesso principali della nostra intimità, e ci ha costretti a cambiare il nostro modo di vivere aspetti fondamentali della nostra esistenza.
Senza concederci sconti.
E l'AIDS, definita inizialmente dai non addetti ai lavori, proprio per la storia che ha accompagnato la scoperta stessa di HIV, "malattia dei gay" e, successivamente, "malattia dei gay e dei tossicodipendenti", è diventata malattia di TUTTI NOI.
Perché si impiegò, com'era ovvio, pochissimo tempo a capire che HIV, al contrario degli esseri umani, non aveva alcun pregiudizio riguardo gli stili di vita e gli orientamenti sessuali. D'altronde come si sarebbe potuta scientificamente giustificare l'esistenza di un virus che discriminasse in base a mere inclinazioni personali?
Mi è sempre piaciuto definirlo “il virus vigliacco”, poiché approfitta proprio delle nostre più naturali debolezze.
Si insinua tre le giovani coppie, dove l'amore non lascia spazio alla ragione e non ci si pone, quindi, alcuna domanda sul proprio passato o su quello del partner.
Si insinua tra le coppie meno giovani, dove l'ipocrisia borghese eleva fragili esseri umani al falso status di mariti e mogli irreprensibili ed "insospettabili".
Si insinua molto spesso tra tutti coloro che, per qualsivoglia motivo, scelgono la strada della tossicodipendenza per via endovenosa come itinerario da percorrere per trovare la soluzione ad uno stato di difficoltà.
Alcune esperienze di volontariato, e non solo, dei miei anni più recenti hanno fatto in modo che mi confrontassi da vicino con queste realtà.
Ho imparato che molto è stato fatto dal punto di vista farmacologico per le persone HIV-positive, molto rimane ancora da fare. Soprattutto se la costosa terapia anti-retrovirale continuerà ad essere sponsorizzata dalle case farmaceutiche come unica alternativa ad un vaccino che, seppur ambizioso da realizzare a causa della estrema variabilità e capacità di adattamento del virus, rimane l'unica reale soluzione contro la pandemia africana.
HIV, lo abbiamo imparato, non discrimina. Ci pensa l'economia mondiale a decidere chi potrà continuare in qualche modo a vivere, nei Paesi ricchi, e chi sarà costretto inevitabilmente al decesso.
Rimane pertanto ancora TROPPO da fare nel campo dell'educazione alla prevenzione, soprattutto tra le nuove generazioni bombardate da campagne sanitarie, quando esistenti, del tutto vaghe ed inefficaci. Il facile slogan “usa il profilattico” non si è mai accompagnato, nel nostro Paese, ad una reale campagna sanitaria che spiegasse TECNICAMENTE ai giovani inesperti ed ai meno giovani riluttanti come utilizzare questo insostituibile mezzo di prevenzione.
Rimane TROPPO da fare nell'abbattimento della disinformazione riguardo le vie di contagio, che ha portato troppo spesso all'isolamento e alla discriminazione di chi con l'HIV lotta in prima persona ogni giorno della sua vita ed ha generato vere e proprie psicosi tra persone ancora convinte che il virus possa trasmettersi nella normale vita di relazione.
Rimangono TROPPO pochi i fondi destinati alla ricerca di un vaccino che ostacoli il progressivo aumento del bacino di infezione nei Paesi occidentali ed il tasso di mortalità nelle aree endemiche dell'Africa Subsahariana.
Vorrei soffermarmi un attimo sull'educazione alla prevenzione; è un tema delicatissimo e non ho la presunzione né di essere la persona più adatta a parlarne né di poter esaurire l'argomento con una semplice nota su un social network. Semplicemente ci provo. Tentar non nuoce.
Ritengo che alcuni punti dovrebbero essere analizzati meglio quando si parla di prevenzione a livello sessuale e cercherò di spiegarvi come la penso.
La Chiesa, che giustamente si è posta il problema dell'infezione, ha parlato di castità; si tratta di una soluzione scientificamente ineccepibile e corretta perché l'assenza di contatti intimi sicuramente impedisce la trasmissione del virus.
Però, da buon fisico, scendo a patti con la realtà, con la gente. Ed un dato sperimentale inequivocabile è che gli esseri umani hanno rapporti sessuali, i quali vengono da essi ritenuti una fonte di piacere prima che il modo naturale per garantire la prosecuzione della specie.
Più recentemente Benedetto XVI si è mostrato aperto all'utilizzo del profilattico qualora si eserciti la prostituzione. A mio modesto parere si tratta di un messaggio molto pericoloso, non basato su dati: si continua a ragionare per "categorie" e si dimentica che la moglie-madre devota, magari presente a tutte le celebrazioni ecclesiastiche domenicali e completamente ignara delle scappatelle del marito, è estremamente più a rischio della prostituta che correttamente utilizza il condom in ogni rapporto sessuale.
Monogamia in una relazione in cui si è certi della sieronegatività dei due partner?Soluzione di grande romanticismo ma scientificamente non corretta perché si basa su attestati di reciproca fiducia e su patti che non mettono in conto nessun tipo di debolezza umana.
Pertanto non consiglierei mai, soprattutto alle giovani generazioni sempre ansiose di sperimentare durante il processo di crescita, di non utilizzare il profilattico.
Neppure in una relazione stabile, duratura e “collaudata”.
Se la fidanzatina o il fidanzatino ci avesse tradito, anche solo una volta, e non avesse il coraggio di dircelo?Se fossimo noi ad avere un momento di debolezza e ci mancasse dopo il coraggio di confessarlo a chi dovremmo?
Cosa rimane da fare allora?Entrare in paranoia?Morire di paura?Far crescere la psicosi del contagio, del pregiudizio e della discriminazione?
No, assolutamente no.
Basta semplicemente abituarsi a considerare se stessi e ciascun partner, anche l'amore della propria vita, sempre come soggetti POTENZIALMENTE sieropositivi.
E quindi?Quindi la soluzione è già nella vostra testa!Sapete già dove voglio portarvi!
Infatti concludo con aria da professorino, e sono certo che continuerete a perdonarmi vista la delicatezza dell'argomento, ricordandovi e ricordando a me stesso che il CORRETTO e COSTANTE utilizzo del profilattico, durante OGNI SINGOLO rapporto sessuale penetrativo, e di siringhe monouso strettamente personali, qualora si faccia uso di droghe per via endovenosa, rimangono gli unici comportamenti scientificamente efficaci nel prevenire il contagio.
Ci tengo a sottolineare che il personale medico ritiene buona norma che si sottoponga periodicamente al test dell'HIV e delle altre malattie sessualmente trasmissibili chiunque, seppur nel totale rispetto della suddetta profilassi, abbia una vita sessuale attiva.
Vi ricordo che il test è anonimo e gratuito (personalmente, lo dico per gli amici pisani, ogni volta che ho deciso di effettuare la mia donazione di sangue od eseguire qualsiasi test, compreso quello per HIV, ho trovato in Santa Chiara personale infermieristico sempre gentile e preparato) ed è effettuabile presso la maggior parte dei presidi ospedalieri e presso i comuni laboratori pubblici e privati per analisi cliniche ed epidemiologiche.
Ovviamente nessuno di noi può essere sottoposto al test senza il suo consenso.
Semplicemente chi è donatore sa che il suo sangue sarà obbligatoriamente ed accuratamente testato per tutte le malattie infettive a trasmissione ematologica, ed è bene che si astenga dal donare nel caso in cui ritenga di aver vissuto una situazione a rischio di infezione.
Le linee guida italiane suggeriscono che il test per HIV venga eseguito ad un mese, tre mesi e sei mesi dopo l'ultimo comportamento a rischio di contagio.
La comunità scientifica internazionale (Centers for Disease Control and Prevention in Atlanta) ritiene che un risultato negativo al primo mese possa considerarsi ampiamente rassicurante considerata la sensibilità dei test oggi in uso nella stragrande maggioranza dei laboratori dislocati nei Paesi occidentali. Ciononostante rimane l'indicazione di eseguire un test di conferma al terzo mese.
Per concludere vorrei aggiungere che le maggiori associazioni che si occupano di HIV/AIDS sono spesso alla ricerca di persone desiderose di ricevere un'adeguata formazione, non solo di tipo scientifico, allo scopo di prestare servizio come informatori, educatori e volontari a supporto di persone sieropositive e non.
Ecco qui di seguito alcuni link interessanti:
http://www.lila.it/
http://viverealsole.comunitaemmaus.it/
http://www.cdc.gov/
Domenico Prellino
domenica 29 novembre 2009
Napoli, mon amour
Non so perché, ma da quando ho finito gli studi di fisica, ai quali per molti anni mi sono dedicato anima e corpo, il senso dell'esplorazione, della ricerca e della comprensione delle cose ha iniziato ad avere come oggetto l'uomo e la società anziché i miei amati atomi ed elettroni.
E' come se avessi recuperato, a studi completati, una dimensione più liceale che universitaria.
Ed i miei viaggi, professionali e non, a zonzo per il mondo, sono sempre pervasi da una curiosità antropologica che per alcuni anni avevo accantonato.
La decisione di tornare a Napoli per un fine settimana, dopo più di venti anni di assenza, è stata motivata proprio da ciò.
La mia più grande curiosità era quella di capire se l'unica vera metropoli meridionale, dal passato glorioso e dal presente estremamente incerto, avrebbe avuto la stessa capacità di stupire un quasi trentenne così come ci era riuscita con quel timido bambino di fine anni Ottanta.
Napoli ha svolto il suo compito: mi ha sparato dritto al cuore ed ha fatto ancora centro, inesorabilmente.
E lo stupore nasce dal mix di due sistemi "complicati" che si sono evoluti, o involuti, insieme: io e Napoli, Napoli ed io.
Napoli è "fetiente", come direbbero i napoletani stessi, perché ti fa innamorare e ti illude, poi ti delude, ma ti consola.
Ed il mio amore per Napoli è quello di una persona oramai profondamente distante da questa città nella forma ed indiscutibilmente vicina ad essa nella sostanza.
Ho sempre sostenuto che la terra in cui siamo nati plasma in percentuale consistente la nostra anima ed il nostro modo di percepire le cose; ed è per questo motivo che Napoli può essere al contempo esotica e familiare per un calabrese, e per un meridionale in generale.
La Calabria è una terra estremamente povera, ed estremamente silenziosa e chiusa nella sua povertà.
La lotta contro un territorio aspro, arido, ostile ha fatto del calabrese una persona forte, determinata, con un grande senso dell'orgoglio, con una grande voglia di riscatto, purtroppo estremamente permalosa e testarda anche nel suo perseverare nell'errore.E tutto questo te lo porti in valigia quando a diciotto anni arrivi a Pisa e quando a ventisei atterri in Germania o in America.
La Calabria non è solo provincia, è anche periferia.
E' forse la terra che l'italiano medio conosce meno; nella mia esperienza pisana quando un toscano ti chiede della Calabria lo fa spesso con la curiosità che si riserva a qualcosa di veramente ignoto, distante geograficamente e non solo.
Anche Napoli è povera, anche Napoli è estremamente in ritardo; ma è una prima donna mai lontana dai riflettori perché, a ragion veduta, non è né periferia né provincia nemmeno al cospetto delle più grandi aree industriali del Nord.
Tutti conoscono Napoli: a Napoli la sofferenza del Sud diventa plateale, diventa teatro di strada, diventa pathos, diventa musica malinconica, diventa lotta per la sopravvivenza, e quindi il "male di vivere" non è quello di una Milano "snob e bionda" annoiata tra una pista di cocaina ed una seduta di psicoanalisi, ma è consapevolezza di una quotidianità che la povertà ha reso estremamente crudele.
Qui anche le contraddizioni devono obbedire alla regola dell'eccesso: le strade sono colme di rifiuti, ma anche intrise di un ottimo odore di cibo e dotate di locali, musei, ristoranti, cinema ed istituti universitari prestigiosi e all'avanguardia, pulitissimi e dotati di personale gentile e ben educato.
Napoli non si vergogna di mostrare gli aspetti migliori e peggiori della sua italianità e la sua presenza sul territorio nazionale è già di per sé denuncia di un sistema in cui tutti siamo vittime e tutti siamo carnefici.
E' proprio per questo che Reggio Calabria è solo Reggio Calabria, Milano è solo Milano, Firenze è solo Firenze mentre Napoli NON è solo Napoli.
Napoli è il Sud, Napoli è la Campania, la Calabria, la Puglia, la Basilicata, la Sicilia in un solo colpo, e ti sbatte in faccia senza pudore non solo la bellezza ma anche i sintomi più eclatanti della malattia storico-sociale di queste terre.
E' proprio per questo che a Napoli mi sento a casa.
Ed è proprio per questo che allo stesso tempo odio Napoli.
La odio per eccesso di amore.
Odio quella Napoli indolente, pigra e dimentica di quei fasti per i quali ha pagato, insieme a Palermo, il prezzo più alto all'Unità d'Italia, o meglio all'annessione piemontese.
Odio, per lo stesso motivo, quella Napoli che accetta e si assume senza reagire il ruolo di "parassita fiscale" attribuitole dalle nuove ideologie leghiste.
Napoli quindi delude.
Ma Napoli mi consola nel momento in cui realizzo quanto mi assomiglia: è enzima della mia meridionalità più di quanto lo sia la mia Calabria.
Qui la contraddizione, l'indigenza, la precarietà del vivere sono intrise di una violenza, di una passione, ed in parte anche di un'ironia esagerata ed insolente, che Reggio Calabria, Bari, Potenza, Catania cercano costantemente di nascondere dietro ad un finto e borghese senso civico ed un ancor più surreale benessere economico, patrimonio di pochi e sogno irrealizzabile per i più.
Ed assaporare tutto questo significa per me passeggiare o cenare tranquillamente a Forcella, a Montesanto o ai Quartieri Spagnoli con le buste degli acquisti delle lussuose via Toledo, via Caracciolo o Mergellina.Con orologio e portamonete in vista.
L'ho fatto perché i napoletani, che conoscono le leggi non scritte della miseria, ti sconsiglierebbero di "fare il turista" proprio in quei posti e quindi perché sono pienamente convinto che Napoli si conosce, e quindi si può amare ed odiare, solo dopo averla sfidata nella sua più indissolubile certezza del "ccà è permess' tutt'e cose non pecché tien' o diritt' ma pecché s'è semp' fatt' e sultant' pe dishpiett'".
Napoli, ti amo.
Domenico Prellino
http://www.youtube.com/watch?v=RCXKPYrzgGo
E' come se avessi recuperato, a studi completati, una dimensione più liceale che universitaria.
Ed i miei viaggi, professionali e non, a zonzo per il mondo, sono sempre pervasi da una curiosità antropologica che per alcuni anni avevo accantonato.
La decisione di tornare a Napoli per un fine settimana, dopo più di venti anni di assenza, è stata motivata proprio da ciò.
La mia più grande curiosità era quella di capire se l'unica vera metropoli meridionale, dal passato glorioso e dal presente estremamente incerto, avrebbe avuto la stessa capacità di stupire un quasi trentenne così come ci era riuscita con quel timido bambino di fine anni Ottanta.
Napoli ha svolto il suo compito: mi ha sparato dritto al cuore ed ha fatto ancora centro, inesorabilmente.
E lo stupore nasce dal mix di due sistemi "complicati" che si sono evoluti, o involuti, insieme: io e Napoli, Napoli ed io.
Napoli è "fetiente", come direbbero i napoletani stessi, perché ti fa innamorare e ti illude, poi ti delude, ma ti consola.
Ed il mio amore per Napoli è quello di una persona oramai profondamente distante da questa città nella forma ed indiscutibilmente vicina ad essa nella sostanza.
Ho sempre sostenuto che la terra in cui siamo nati plasma in percentuale consistente la nostra anima ed il nostro modo di percepire le cose; ed è per questo motivo che Napoli può essere al contempo esotica e familiare per un calabrese, e per un meridionale in generale.
La Calabria è una terra estremamente povera, ed estremamente silenziosa e chiusa nella sua povertà.
La lotta contro un territorio aspro, arido, ostile ha fatto del calabrese una persona forte, determinata, con un grande senso dell'orgoglio, con una grande voglia di riscatto, purtroppo estremamente permalosa e testarda anche nel suo perseverare nell'errore.E tutto questo te lo porti in valigia quando a diciotto anni arrivi a Pisa e quando a ventisei atterri in Germania o in America.
La Calabria non è solo provincia, è anche periferia.
E' forse la terra che l'italiano medio conosce meno; nella mia esperienza pisana quando un toscano ti chiede della Calabria lo fa spesso con la curiosità che si riserva a qualcosa di veramente ignoto, distante geograficamente e non solo.
Anche Napoli è povera, anche Napoli è estremamente in ritardo; ma è una prima donna mai lontana dai riflettori perché, a ragion veduta, non è né periferia né provincia nemmeno al cospetto delle più grandi aree industriali del Nord.
Tutti conoscono Napoli: a Napoli la sofferenza del Sud diventa plateale, diventa teatro di strada, diventa pathos, diventa musica malinconica, diventa lotta per la sopravvivenza, e quindi il "male di vivere" non è quello di una Milano "snob e bionda" annoiata tra una pista di cocaina ed una seduta di psicoanalisi, ma è consapevolezza di una quotidianità che la povertà ha reso estremamente crudele.
Qui anche le contraddizioni devono obbedire alla regola dell'eccesso: le strade sono colme di rifiuti, ma anche intrise di un ottimo odore di cibo e dotate di locali, musei, ristoranti, cinema ed istituti universitari prestigiosi e all'avanguardia, pulitissimi e dotati di personale gentile e ben educato.
Napoli non si vergogna di mostrare gli aspetti migliori e peggiori della sua italianità e la sua presenza sul territorio nazionale è già di per sé denuncia di un sistema in cui tutti siamo vittime e tutti siamo carnefici.
E' proprio per questo che Reggio Calabria è solo Reggio Calabria, Milano è solo Milano, Firenze è solo Firenze mentre Napoli NON è solo Napoli.
Napoli è il Sud, Napoli è la Campania, la Calabria, la Puglia, la Basilicata, la Sicilia in un solo colpo, e ti sbatte in faccia senza pudore non solo la bellezza ma anche i sintomi più eclatanti della malattia storico-sociale di queste terre.
E' proprio per questo che a Napoli mi sento a casa.
Ed è proprio per questo che allo stesso tempo odio Napoli.
La odio per eccesso di amore.
Odio quella Napoli indolente, pigra e dimentica di quei fasti per i quali ha pagato, insieme a Palermo, il prezzo più alto all'Unità d'Italia, o meglio all'annessione piemontese.
Odio, per lo stesso motivo, quella Napoli che accetta e si assume senza reagire il ruolo di "parassita fiscale" attribuitole dalle nuove ideologie leghiste.
Napoli quindi delude.
Ma Napoli mi consola nel momento in cui realizzo quanto mi assomiglia: è enzima della mia meridionalità più di quanto lo sia la mia Calabria.
Qui la contraddizione, l'indigenza, la precarietà del vivere sono intrise di una violenza, di una passione, ed in parte anche di un'ironia esagerata ed insolente, che Reggio Calabria, Bari, Potenza, Catania cercano costantemente di nascondere dietro ad un finto e borghese senso civico ed un ancor più surreale benessere economico, patrimonio di pochi e sogno irrealizzabile per i più.
Ed assaporare tutto questo significa per me passeggiare o cenare tranquillamente a Forcella, a Montesanto o ai Quartieri Spagnoli con le buste degli acquisti delle lussuose via Toledo, via Caracciolo o Mergellina.Con orologio e portamonete in vista.
L'ho fatto perché i napoletani, che conoscono le leggi non scritte della miseria, ti sconsiglierebbero di "fare il turista" proprio in quei posti e quindi perché sono pienamente convinto che Napoli si conosce, e quindi si può amare ed odiare, solo dopo averla sfidata nella sua più indissolubile certezza del "ccà è permess' tutt'e cose non pecché tien' o diritt' ma pecché s'è semp' fatt' e sultant' pe dishpiett'".
Napoli, ti amo.
Domenico Prellino
http://www.youtube.com/watch?v=RCXKPYrzgGo
mercoledì 4 novembre 2009
La "croce" di un Paese
In data 3 Novembre 2009, e sottolineo 2009, si apprende che la Corte di Strasburgo vieta l'esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche.
In data 3 Novembre 2009, e sottolineo 2009, nell'Italietta oramai Paese di seconda categoria, se non terza, scoppia la polemica.
Lo apprendo dalla rete in questa bella serata di un autunno toscano.
Pare che i politici, dimentichi della crisi che ci opprime, della mancanza di lavoro, della mobilità degenerata in precarietà, delle numerose generazioni italiane ormai inutilizzabili come risorsa per il Paese, inchinino il capo di fronte al Vaticano.
Ancora una volta, oramai da secoli.
Non mi scandalizza l'opinione secondo la quale il Crocifisso è espressione della nostra radice culturale.
E' profondamente vero.Quindi forse nemmeno di opinione si tratta, si tratta di storia.
Chi è quel folle che si ostinerebbe a confutare il valore di verità intrinseco della storia?
L'Italia e l'Europa hanno radici cristiane, hanno un Medioevo cristiano che, anche nei peggiori periodi di oscurantismo del credo, ha posto le basi per lo sviluppo delle nostre società moderne.
Addirittura il più ateo fra gli atei europei, il più materialista fra i materialisti europei, è in parte un cristiano nel più profondo sentire ed agire.
Per una questione di additività, e la matematica non è un opinione, a maggior ragione anche le più vaste comunità atee e materialiste europee sono in parte cristiane.
E' questo sufficiente per gridare allo scandalo per la rimozione dalle aule europee del più cristiano tra i simboli cristiani?
Seppur non sono la fotocopia di mio padre nell'agire, nel pensare, nel mio essere quello che sono fisicamente e non, ho i suoi capelli ricci e folti come espressione dei suoi geni; la permalosità, la passionalità e la voglia di scrivere sono invece regali ricevuti da mia madre.
Tuttavia la mia evoluzione non è stata quelle dei miei avi più prossimi.
In parte perché le mie scelte non sono state le loro, e forse perché in larga misura non avrebbero potuto esserlo comunque.
Io NON sono mio padre;io NON sono mia madre.
Ne sono biologicamente un "ricordo".
Solo e soltanto un ricordo poiché alcuni aspetti del mio essere sono frutto di un vissuto personale il quale, nulla avendo a che fare con una eredità biologica, mi garantisce l'unicità.
Io posso essere NON cristiano pur avendo genitori cristiani.
Nel mix dell'evoluzione ho perso il "gene" del Cristianesimo come scelta di vita razionalmente attuata, pur condividendo molti valori che sono dottrina cristiana e pur agendo, spesso inconsciamente, da cristiano.
E posso garantirvi che questo è uno stato di fatto per nulla poco frequente nella società europea attuale.
Ecco: l'Europa di oggi ha ereditato geneticamente il Cristianesimo dall'Europa di ieri perché di quest'ultima è figlia, i luoghi dell'Europa di oggi hanno ancora molto di cristiano, le genti dell'Europa di oggi condividono dei valori cristiani.
Ma le generazioni, le società, o meglio le masse si evolvono per una buona percentuale come il singolo individuo, e bisogna mettere in conto che eredità non significa identità.
Il tempo, che per un fisico è evoluzione anche nella staticità, ha trasformato l'identità in eredità, in ricordo.
Niente più che ricordo.Con tutto il rispetto che alla memoria ed al ricordo è dovuto.
L'Italia dei nonni si identificava nei suoi valori cristiani, le verginità corporale e spirituale erano sacrosante nel senso letterale del termine; e la vita dei singoli era, salvo rare eccezioni, specchio di una educazione impartita più dai preti che dalle famiglie o dagli istituti di istruzione.
La laicità non era un argomento usato, forse nemmeno abusato.
Sacrilegio non mettere una croce sullo scudo con la parola Libertas nella Calabria della mia più tenera infanzia!!
D'altronde lo aveva detto il prete, quindi la giustezza della scelta era fuori discussione.
Il ragazzino dalla famiglia "allargata" avrebbe inevitabilmente dovuto superare un adolescenza difficile e sofferta;questo il parere esperto delle catechiste formatesi ai prestigiosi corsi di teologia di Palmi, in provincia di Reggio Calabria.
Loro sì, allieve modello protette dal Vescovo di turno, avevano sicuramente capito tutto.
Non è più così; noi NON siamo i nostri nonni.
Come potremmo esserlo, se non siamo nemmeno la nostra infanzia?
Siamo quello che siamo diventati, hic et nunc:più laici seppur ancora benpensanti, più precari, diversamente abili, conviventi senza aver ricevuto i sacramenti, omosessuali in attesa di diritti civili, donne in ritardo biologico, figli di genitori divorziati, utilizzatori di profilattici, di voli lastminute e di pillole anticoncezionali, divoratori di cibo da MacDonald, di caramelle alla frutta Coop e di nudità da Grande Fratello, onanisti dipendenti, assuefatti.
Ed assolutamente senza rimorso, perché forse senza nemmeno colpa.
L'Italia di oggi ha un gene cattolico ma NON è più un'Italia sufficientemente cattolica se si guarda al rispetto nei confronti dei precetti del credo.
E non si può essere cristiani "a convenienza", perché la convenienza, e la comodità che da essa origina, non sono cristiane.
L'Italia figlia ha fatto scelte diverse dall'Italia madre; a questa non può che assomigliare per legge di natura, da questa differisce in ragione dell'evoluzione.
Il concetto è estendibile a tutta l'Europa, a tutto il mondo forse.
Il Crocifisso in aula diventa quindi cimelio storico, dote ingombrante, cilicio alla Binetti, baluardo di ipocrisia e perbenismo, non certo simbolo di un sentire comune, attuale.
Parlando e confrontandomi con le nuove generazioni ogni giorno mi sono convinto che è così.
Abbiamo già riposto da un bel pò nel cassetto i gilet, le bretelle, le sottane di seta, pizzi e merletti insieme al rigore fascista, ed i pantaloni a zampa insieme al loro sessantottino fervore politico.
Ed il riporre nel cassetto non impedisce affatto di ricordare, qualora se ne abbia la voglia. Nè ostacola, in una società libera, un comportamento individuale che sposi il passato come stile di vita.
L'anacronismo del singolo non è affatto una malattia grave, e soprattutto non è contagiosa.Quindi assolutamente ben tollerata.
E' ora di riporre nel cassetto anche il Crocifisso.E chi non vuole dimenticarsene è assolutamente libero di farlo.
L'Europa lo ha già capito.
L'Italia anche, ma ha solo più paura.
Che il Crocifisso, e tutto quello che esso rappresenta nella comodità laica dei nostri tempi, non diventi col passare dei secoli l'oggetto più dimenticato della nostra storia?
Spesso le abitudini e le usanze più ipocrite si abbandonano in maniera rapida ed indolore esattamente nel momento in cui la legge, e quindi le caste sociali che più contano, lo permette.
Si tratta di un nuovo ordine costituito.
Sparirono così anche i ritratti di Mussolini nelle case degli Italiani, da un giorno all'altro.
Poco male per alcuni.Poco bene per altri.La storia d'altronde si racconta, non si giudica.
E' sparito anche il Crocifisso.
Come si direbbe con fatalismo calabrese: "era distinu".
Domenico Prellino
In data 3 Novembre 2009, e sottolineo 2009, nell'Italietta oramai Paese di seconda categoria, se non terza, scoppia la polemica.
Lo apprendo dalla rete in questa bella serata di un autunno toscano.
Pare che i politici, dimentichi della crisi che ci opprime, della mancanza di lavoro, della mobilità degenerata in precarietà, delle numerose generazioni italiane ormai inutilizzabili come risorsa per il Paese, inchinino il capo di fronte al Vaticano.
Ancora una volta, oramai da secoli.
Non mi scandalizza l'opinione secondo la quale il Crocifisso è espressione della nostra radice culturale.
E' profondamente vero.Quindi forse nemmeno di opinione si tratta, si tratta di storia.
Chi è quel folle che si ostinerebbe a confutare il valore di verità intrinseco della storia?
L'Italia e l'Europa hanno radici cristiane, hanno un Medioevo cristiano che, anche nei peggiori periodi di oscurantismo del credo, ha posto le basi per lo sviluppo delle nostre società moderne.
Addirittura il più ateo fra gli atei europei, il più materialista fra i materialisti europei, è in parte un cristiano nel più profondo sentire ed agire.
Per una questione di additività, e la matematica non è un opinione, a maggior ragione anche le più vaste comunità atee e materialiste europee sono in parte cristiane.
E' questo sufficiente per gridare allo scandalo per la rimozione dalle aule europee del più cristiano tra i simboli cristiani?
Seppur non sono la fotocopia di mio padre nell'agire, nel pensare, nel mio essere quello che sono fisicamente e non, ho i suoi capelli ricci e folti come espressione dei suoi geni; la permalosità, la passionalità e la voglia di scrivere sono invece regali ricevuti da mia madre.
Tuttavia la mia evoluzione non è stata quelle dei miei avi più prossimi.
In parte perché le mie scelte non sono state le loro, e forse perché in larga misura non avrebbero potuto esserlo comunque.
Io NON sono mio padre;io NON sono mia madre.
Ne sono biologicamente un "ricordo".
Solo e soltanto un ricordo poiché alcuni aspetti del mio essere sono frutto di un vissuto personale il quale, nulla avendo a che fare con una eredità biologica, mi garantisce l'unicità.
Io posso essere NON cristiano pur avendo genitori cristiani.
Nel mix dell'evoluzione ho perso il "gene" del Cristianesimo come scelta di vita razionalmente attuata, pur condividendo molti valori che sono dottrina cristiana e pur agendo, spesso inconsciamente, da cristiano.
E posso garantirvi che questo è uno stato di fatto per nulla poco frequente nella società europea attuale.
Ecco: l'Europa di oggi ha ereditato geneticamente il Cristianesimo dall'Europa di ieri perché di quest'ultima è figlia, i luoghi dell'Europa di oggi hanno ancora molto di cristiano, le genti dell'Europa di oggi condividono dei valori cristiani.
Ma le generazioni, le società, o meglio le masse si evolvono per una buona percentuale come il singolo individuo, e bisogna mettere in conto che eredità non significa identità.
Il tempo, che per un fisico è evoluzione anche nella staticità, ha trasformato l'identità in eredità, in ricordo.
Niente più che ricordo.Con tutto il rispetto che alla memoria ed al ricordo è dovuto.
L'Italia dei nonni si identificava nei suoi valori cristiani, le verginità corporale e spirituale erano sacrosante nel senso letterale del termine; e la vita dei singoli era, salvo rare eccezioni, specchio di una educazione impartita più dai preti che dalle famiglie o dagli istituti di istruzione.
La laicità non era un argomento usato, forse nemmeno abusato.
Sacrilegio non mettere una croce sullo scudo con la parola Libertas nella Calabria della mia più tenera infanzia!!
D'altronde lo aveva detto il prete, quindi la giustezza della scelta era fuori discussione.
Il ragazzino dalla famiglia "allargata" avrebbe inevitabilmente dovuto superare un adolescenza difficile e sofferta;questo il parere esperto delle catechiste formatesi ai prestigiosi corsi di teologia di Palmi, in provincia di Reggio Calabria.
Loro sì, allieve modello protette dal Vescovo di turno, avevano sicuramente capito tutto.
Non è più così; noi NON siamo i nostri nonni.
Come potremmo esserlo, se non siamo nemmeno la nostra infanzia?
Siamo quello che siamo diventati, hic et nunc:più laici seppur ancora benpensanti, più precari, diversamente abili, conviventi senza aver ricevuto i sacramenti, omosessuali in attesa di diritti civili, donne in ritardo biologico, figli di genitori divorziati, utilizzatori di profilattici, di voli lastminute e di pillole anticoncezionali, divoratori di cibo da MacDonald, di caramelle alla frutta Coop e di nudità da Grande Fratello, onanisti dipendenti, assuefatti.
Ed assolutamente senza rimorso, perché forse senza nemmeno colpa.
L'Italia di oggi ha un gene cattolico ma NON è più un'Italia sufficientemente cattolica se si guarda al rispetto nei confronti dei precetti del credo.
E non si può essere cristiani "a convenienza", perché la convenienza, e la comodità che da essa origina, non sono cristiane.
L'Italia figlia ha fatto scelte diverse dall'Italia madre; a questa non può che assomigliare per legge di natura, da questa differisce in ragione dell'evoluzione.
Il concetto è estendibile a tutta l'Europa, a tutto il mondo forse.
Il Crocifisso in aula diventa quindi cimelio storico, dote ingombrante, cilicio alla Binetti, baluardo di ipocrisia e perbenismo, non certo simbolo di un sentire comune, attuale.
Parlando e confrontandomi con le nuove generazioni ogni giorno mi sono convinto che è così.
Abbiamo già riposto da un bel pò nel cassetto i gilet, le bretelle, le sottane di seta, pizzi e merletti insieme al rigore fascista, ed i pantaloni a zampa insieme al loro sessantottino fervore politico.
Ed il riporre nel cassetto non impedisce affatto di ricordare, qualora se ne abbia la voglia. Nè ostacola, in una società libera, un comportamento individuale che sposi il passato come stile di vita.
L'anacronismo del singolo non è affatto una malattia grave, e soprattutto non è contagiosa.Quindi assolutamente ben tollerata.
E' ora di riporre nel cassetto anche il Crocifisso.E chi non vuole dimenticarsene è assolutamente libero di farlo.
L'Europa lo ha già capito.
L'Italia anche, ma ha solo più paura.
Che il Crocifisso, e tutto quello che esso rappresenta nella comodità laica dei nostri tempi, non diventi col passare dei secoli l'oggetto più dimenticato della nostra storia?
Spesso le abitudini e le usanze più ipocrite si abbandonano in maniera rapida ed indolore esattamente nel momento in cui la legge, e quindi le caste sociali che più contano, lo permette.
Si tratta di un nuovo ordine costituito.
Sparirono così anche i ritratti di Mussolini nelle case degli Italiani, da un giorno all'altro.
Poco male per alcuni.Poco bene per altri.La storia d'altronde si racconta, non si giudica.
E' sparito anche il Crocifisso.
Come si direbbe con fatalismo calabrese: "era distinu".
Domenico Prellino
martedì 18 novembre 2008
Un Paese in fuga
Mi piaceva moltissimo la riflessione di questo blog..e quindi ho deciso di postare :-)
http://cattaneo-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2008/11/18/mille-testimoni-scomodi/
http://cattaneo-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2008/11/18/mille-testimoni-scomodi/
venerdì 24 ottobre 2008
mussoliniana memoria (?)
io lo ho letto e sono rimasto sconvolto, e non e' tanto per dire.
sentire persone che dovrebbero essere al servizio del cittadino parlare con tanta facilita' e non curanza di violenze orribili (per di piu' fomentate appositamente) fa veramente male.
dovremmo forse augurarci la sua morte adesso?
mercoledì 22 ottobre 2008
Mussoliniana memoria.
http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/scuola_e_universita/servizi/scuola-2009-2/parla-premier/parla-premier.html
Credo che sia arrivato per tutti noi il momento di riflettere.
Voglio essere ottimista: le manifestazioni degli ultimi giorni contro le iniziative del Ministro della Pubblica Istruzione confermano che la dignita' ed il senso critico non sono stati seppelliti del tutto nel nostro Paese.
Ci sono nuove generazioni che tentano di reagire, che alimentano le speranze di una societa' che deve fare dello spirito critico, della liberta' di espressione, della lotta alla precarieta' culturale, sociale ed economica alla quale ci hanno costretto i nuovi strumenti di reazione.
Alcuni colleghi italiani come me all'estero mi hanno detto."Questa situazione e' quella che gli Italiani si meritano", "I nostri governanti sono lo specchio di noi stessi".
Io mi ostino a non persuadermi di cio'!E non credo che saranno le cariche di polizia a sotterrare l'intelligenza di migliaia di studenti e ricercatori fortemente consapevoli del disastro.Ripeto, voglio essere ottimista.
Un governo che usa la forza per reprimere ogni tentativo di dialogo e democrazia ha gia' mostrato la sua debolezza.
E morira', prima o poi.Forse facendo pagare un prezzo molto alto alle vittime del sistema, forse no.
Ma la certezza della morte e' qualcosa a cui ottimisticamente voglio credere.
Semplicemente perche' la storia ce lo ha gia' insegnato.
Domenico Prellino
Credo che sia arrivato per tutti noi il momento di riflettere.
Voglio essere ottimista: le manifestazioni degli ultimi giorni contro le iniziative del Ministro della Pubblica Istruzione confermano che la dignita' ed il senso critico non sono stati seppelliti del tutto nel nostro Paese.
Ci sono nuove generazioni che tentano di reagire, che alimentano le speranze di una societa' che deve fare dello spirito critico, della liberta' di espressione, della lotta alla precarieta' culturale, sociale ed economica alla quale ci hanno costretto i nuovi strumenti di reazione.
Alcuni colleghi italiani come me all'estero mi hanno detto."Questa situazione e' quella che gli Italiani si meritano", "I nostri governanti sono lo specchio di noi stessi".
Io mi ostino a non persuadermi di cio'!E non credo che saranno le cariche di polizia a sotterrare l'intelligenza di migliaia di studenti e ricercatori fortemente consapevoli del disastro.Ripeto, voglio essere ottimista.
Un governo che usa la forza per reprimere ogni tentativo di dialogo e democrazia ha gia' mostrato la sua debolezza.
E morira', prima o poi.Forse facendo pagare un prezzo molto alto alle vittime del sistema, forse no.
Ma la certezza della morte e' qualcosa a cui ottimisticamente voglio credere.
Semplicemente perche' la storia ce lo ha gia' insegnato.
Domenico Prellino
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